Un banco di prova enorme superato alla grande: è innegabile che, riavvolgendo il nastro dei primi quaranta minuti di campionato, il ritorno della Pallacanestro Trieste in serie A è stato bagnato da qualcosa di più di una semplice partita ben giocata. Certo, con appena una giornata di stagione messa alle spalle, da una parte è severamente vietato lasciarsi andare a voli troppo alti, ma dall’altra il ko rifilato a una Milano sulla carta stellare – la cui luce però si è spenta su quelle 17 palle perse in cui c'è tanta sostanza giuliana nel mettere in atto il piano-partita auspicato alla vigilia – fa capire che nei biancorossi di Jamion Christian c’è da subito stata una forza dei nervi clamorosa, dal primo all’ultimo minuto. Una variabile sicuramente non banale né scontata, guardando la forza dell’avversaria.
I primi due, pesantissimi punti di stagione conquistati portano però un’eredità altrettanto pesante e importante: ovverosia, la conferma che in questa squadra c’è una leadership dei singoli che non prevale sul gioco di squadra. Ed è forse questa la chiave per quanto visto ieri a Valmaura: perché potremmo benissimo parlare solo dei tanti punti segnati dagli esterni (i 22 di Ross, i 19 di Valentine e i 18 di Brown, quest'ultimo oltretutto limitato dai falli), ma in realtà c’è tanto altro. La solidità di Brooks nella seconda metà di partita (e che carica ha saputo dare anche al pubblico!), l’eccellente difesa su Mirotic di un Uthoff stranamente impreciso in attacco ma ben focalizzato a infastidire parecchio il diretto avversario in pitturato, i 13 minuti di qualità di Candussi, così come un Johnson che ha saputo adeguarsi alla situazione non certo idilliaca di trovarsi tanti totem davanti al naso, non sfigurando minimamente nonostante la sua indole “timida” spalle a canestro.
La sostanza è tutta qua, di un team già capace di vincere con il giusto quantitativo di fosforo abbinato a un eccellente modo di stare sul parquet per quaranta minuti di fila. E scusate se è poco.