Il fondo del barile stavolta è stato raschiato e non c'è molto altro da grattare. La sconfitta della Pallacanestro Trieste in casa di una squadra che non aveva mai vinto sul proprio campo in tutto il campionato rappresenta il punto più basso di una stagione già di per sé tremenda, in cui quel solo filotto di fine 2023 aveva parzialmente illuso.
Quello che era stato dipinto come un roster costruito per salire di categoria assomiglia sempre più a un'armata Brancaleone senza identità, spirito e guida tecnica ma anche senza una società e una dirigenza capaci di raddrizzare l'andazzo. E proprio questo è il punto che fa più male. Mentre sull'altra sponda, quella calcistica, c'è uno staff che di decisioni ne ha prese fin troppe e spesso anche a sproposito e una proprietà che, al netto di conferenze stampa con poco senso, almeno si fa vedere, sponda basket regna l'apatia totale. In campo e fuori. Mai una levata di scudi, mai un cazziatone pubblico, mai qualcuno che venga in sala stampa a urlare e sbraitare. Il nulla cosmico. Sembra una lenta agonia alla quale nessuno, ma proprio nessuno, ha cercato di porre una pezza, ad iniziare da una società lontana e apparentemente assente, per proseguire con un general manager che ripete come un mantra gli stessi concetti. E che continua a difendere l'indifendibile (l'allenatore).
Se continuano a credere che ai play-off sarà tutta un'altra musica sono rimasti gli unici a pensarlo ma soprattutto nella post-season rischiano seriamente di giocare da soli. Perché quei 2 mila scarsi che continuano a venire al palazzo lo fanno solo per forza di inerzia (e perché hanno sottoscritto a scatola chiusa l'abbonamento). Vedremo quanti correranno ai botteghini per acquistare un biglietto a fase ad orologio terminata. La disaffezione ormai è così esplicita che non c'è più nemmeno la voglia di contestare. Un calvario persino peggiore della retrocessione di un anno fa, determinata soprattutto dagli episodi. E questo dovrebbe far riflettere.