La sensazione, dopo un terzo di stagione regolare e quasi un'intera fase a gironi europea, è che il problema, più che tecnico-tattico, in casa Pallacanestro Trieste sia caratteriale. Per usare una terminologia molto in voga negli sport di squadra lo si potrebbe chiamare "mal di trasferta" ma al di là delle denominazioni, la sensazione è che a questo roster manchi carattere.
Lo dicono i numeri, per iniziare l'analisi: quattro sconfitte su sei gare esterne e spesso contro avversarie non irrestistibili (vedi Sassari ieri). In coppa due ko su tre match giocati lontano da via Flavia, per un totale di sei partite perse su nove fuori casa. Decisamente troppe per una squadra partita con ambizioni importanti. C'è poi l'approccio alle gare: anche in Sardegna, così com'è avvenuto molte volte in questi primi due mesi di stagione, il primo quarto è stato un disastro con 30 punti subiti in 10'. Difesa molle, concentrazione poca, contatti ridotti al minimo: e dopo due settimane di allenamenti definiti intensi e la pausa per le nazionali era onestamente doveroso aspettarsi qualcosa di meglio.
C'è poi, appunto, l'aspetto tattico: quasi 40 tiri tentati da tre, e va bene che questa è la tendenza della pallacanestro attuale ma se le percentuali sono quelle che sono allora forse bisogna invertire il trend. Anche sui singoli ci sarebbe da dire: Sissoko, elogiatissimo dopo l'impresa contro Milano, ne ha combinate una dietro l'altra con quattro falli uno più imbarazzante dell'altro. Non pervenuti i play italiani (Ruzzier e Moretti hanno collezionato errori in serie), Toscano Anderson era partito bene ma poi si è perso per strada e i soli Ramsey e Brown, offensivamente, non posso tenere in piedi da soli la baracca prendendosi quasi trenta conclusioni in due.
Tutto, insomma, ancora una volta da rivedere, proprio nel momento in cui le vittorie di Istanbul e con Milano sembravano proiettare la Pallacanestro Trieste sulla retta via. Niente da fare. Forse, prima o dopo, arriverà la svolta. O forse, semplicemente, sarà una stagione all'insegna della discontinuità. Peccato, perché le credenziali, sulla carta, ci sarebbero eccome.