Trieste, 28 Marzo 2024

Dalmasson, cronistoria di undici anni intensi (e vincenti)

01 Giugno 2021 Autore: Alessandro Asta

E alla fine arrivò il momento dei saluti: un capitolo importante dell’intera storia recente della Pallacanestro Trieste, certamente non inatteso ma al tempo stesso che segna inevitabilmente la fine di un’epoca. Paradossalmente, passare dai rumours all’ufficializzazione vera e propria dell’addio di Eugenio Dalmasson sulla panchina dell’Allianz è stato breve e silenzioso come il più classico dei battiti di ciglia, anche perché la fine di un rapporto di undici anni consecutivi era ormai diventato il segreto di Pulcinella, pronto a essere solamente confermato. Ma, nel congedarci con il tecnico mestrino, prendere in mano alcune istantanee dei momenti che ne hanno contraddistinto il suo ruolo da head-coach biancorosso diventa un esercizio necessario. Nonché doveroso, per quanto è stato capace di scrivere nel libro della recente storia del basket giuliano.

Di quel 25 giugno 2010, primo giorno “di scuola” per Dalmasson in Pallacanestro Trieste, pochi avranno ricordi nitidi. Alla presentazione del successore di Massimo Bernardi alla guida tecnica biancorossa, in una calda mattinata estiva all’interno della piccola sede storica in via Locchi, eravamo davvero in pochi addetti ai lavori ad assistere. Erano i tempi di Matteo Boniciolli come consulente operativo, che sposò la causa di un allenatore passato in precedenza per le panchine di Montichiari, Firenze, Vicenza, Vigevano, Lumezzane e Venezia prima della tappa più importante della sua carriera da head-coach. Ma erano anche gli anni in cui un’intera piazza tentava di uscire con fatica da quel capitolo terribile del 2004 che segnò il fallimento e la ripartenza dalla B2, con un entusiasmo difficile da riportare attorno alla squadra. Per Dalmasson parlarono poi i risultati ottenuti sul campo, con due passaggi-chiave: la promozione in Legadue nel 2012 ai danni di Chieti e la cavalcata vincente del 2018, collimata con il “cappotto” in finale contro Casale Monferrato e la risalita nell’olimpo della massima serie. Traguardi tutt’altro che banali, anche analizzati col senno di poi.

In mezzo ai tanti e indiscutibili obiettivi raggiunti, tra l’allenatore veneziano e una piazza competente di palla a spicchi come quella triestina c’è quasi sempre stato un rapporto di amore misto a odio. E quel livello di “incompatibilità” tra le due parti, che si è intensificata proprio nelle ultime stagioni e che di fatto ha dato il via all’ultima fase di Eugenio Dalmasson in sella alla Pallacanestro Trieste, ha fatto discutere tanto, dentro e fuori i confini cittadini. Della ruvidezza nei rapporti con più di qualcuno se ne è parlato parecchio nel corso di questi undici anni, con più di un sorriso strappato al coach quasi solo dallo storico team manager Sergio Dalla Costa, che a lungo aveva condiviso il cammino dell’ormai ex allenatore biancorosso.

Alla fine della fiera, in mezzo a disquisizioni tecniche da parte dei tifosi su difese a zone (quasi) mai proposte - ma lui stesso, proprio durante la sua presentazione, ammise in prima battuta di prediligere la difesa a uomo - e sulla gestione delle rotazioni, la "barra dalmassoniana" è sempre rimasta dritta. Anche nei momenti più complessi, da quei giorni delicati prima della partita-spareggio contro Forlì dell'aprile 2014 (con 25 punti di Michy Ruzzier annessi...), quando si fu davvero a un passo dal ripiombare in serie B, sino a quella 2019/20, indiscutibilmente la più difficile per il coach mestrino, dove l'ombra di Jasmin Repesa a sostituire Dalmasson è aleggiata in maniera forte a fine dicembre di due anni or sono.

Il coach lascia e se ne va in punta di piedi. Così come era arrivato, in quella mattinata di fine giugno del 2010, in cui disse: “L'interesse comune è quello di fare bene, per soddisfare una piazza così importante come questa”.  Checché se ne dica, missione compiuta Eugenio.

(credits foto Linda Cravagna)


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