Se n’è andato quanto di più rassicurante ci fosse al mondo. Un talento irraggiungibile capace di un magnetismo senza precedenti e senza eredi. Un eroe visibile, tra noi, tangibile, che ha trasceso la società, lo sport, la storia. Una vita parallela, controversa, controsenso, contro. Fatta di eccessi, sogni, riscatti, cadute, vittorie con quel guizzo rivoluzionario che lo legava tanto all’amico Fidel Castro. Ha dribblato qualsiasi cosa si trovasse di fronte Maradona, destino incluso; ha incantato intere generazioni riscrivendo le leggi della fisica e trovando spazi e traiettorie che non vedremo mai più dentro a un campo da calcio.
Quella di Diego non è mai stata solo una storia di sport ma è quella di un dio caduto e come un dio, anche chi non ha avuto la fortuna di averlo visto giocare, è capace di descriverlo senza rischiare di esagerare. Anzi, è nell’iperbole che si colloca Il Pibe de oro: una vita oscillante tra palco e realtà, tra gli eccessi più estremi e un sinistro incredibile che addomesticava il pallone come non ha mai saputo fare della sua stessa esistenza. Diego era ed è di tutti perché nelle sue cento vite e cento rinascite, ha attratto ognuno di noi. Per questo, la sua presenza era rassicurante.
“Ho visto Maradona” è diventato un inno, una benedizione, soprattutto a Napoli, provincia di Buenos Aires come nessun’altra città in tutto il pianeta. Maradona era estro, era un ideale, un sentimento di riscatto esaltante, un sogno impulsivo, guerrigliero, ingestibile fino a spaccarsi e spaccarci il cuore. Ci hanno sempre detto che gli eroi sono immortali, e maledetto il giorno in cui smetteremo di crederci.
Di lui ne abbiamo parlato con l’ex arbitro triestino Fabio Baldas, fischietto internazionale tra gli anni ’80 e ’90 che in più di un’occasione ha arbitrato il Napoli di Maradona, compresi gli anni dei due scudetti partenopei. “Sono stato uno dei fortunati che ha arbitrato quel tipo di calcio - racconta - oltre a Maradona c’era il Milan degli olandesi, il Parma di Nevio Scala, l’Inter dei Trapattoni: tanti grandi giocatori e interpreti di questo sport ma come ho sempre detto, un solo fenomeno. Il genio di Maradona e quello che gli ho visto fare non sono in alcun modo ripetibili e la cosa che mi ha sorpreso di più è stata la sua modestia. Non ha mai fatto pesare il fatto di essere quello che era, e tra noi c’era gran rispetto. Bisogna essere bravi a gestire certe personalità sin dal primo giorno e con me Maradona si è sempre comportato correttamente, da capitano vero, impetuoso, carismatico ma sempre rispettoso”.
“Di lui mi ricorderò sempre l’applauso a Roberto Baggio dopo quel gol strepitoso contro il Napoli al San Paolo (stagione ‘90/91, n.d.r.), peraltro molto simile a quello segnato da Diego quattro anni prima contro l’Inghilterra ai mondiali messicani. Aveva un gioco che ti strappava applausi anche se eri l’arbitro: certi dribbling o i cross con la rabona dalla linea di fondo ti lasciavano a bocca aperta e riuscivamo a scambiare qualche battuta o sorriso nel corso del gioco che valevano più di mille parole. Un riflesso involontario che scaturiva solo a guardarlo. Accadeva spesso e con tanti giocatori, erano altri tempi”.